Verdicchio di Matelica: un grande vino per tutte le tasche

12 Aprile 2021

AUTORE

Burton Anderson

Burton Anderson è uno scrittore americano originario del Minnesota, vive in Italia e scrive di vino, cibo e viaggi.
Nei primi anni '80 pubblica "The Wines & Winemakers of Italy" , libro che ha reso celebre il made in Italy enoico fuori dai confini nazionali. Burton ha dato un contributo notevole alla divulgazione del vino italiano nel mondo facendone conoscere l'originalità, le potenzialità e le eccellenze territoriali. E' inoltre l'ex direttore dell'International Herald Tribune a Parigi. Il New York Times lo ha definito "la massima autorità sui vini italiani in lingua inglese".

Verdicchio di Matelica: un grande vino per tutte le tasche

Nella mia lunga carriera di scrittore mi sono spesso trovato a difendere ostinatamente gli sfavoriti. Il primo esempio è stato il mio libro Vino, pubblicato nel 1980, in cui l’escluso era niente meno che il vino italiano. A quel tempo, salvo rare eccezioni, il vino italiano non era esattamente ammirato in tutto il mondo per la sua qualità. I suoi principali detrattori erano influenti critici britannici, i quali, come notai più tardi, sembravano solleticati dal fatto che uno Yankee alle prime armi avrebbe dedicato un intero libro a un paese noto principalmente per il Lambrusco amabile e il modesto e allegro Chianti nel fiasco.

Ora, lungi da me narrare l’ascesa del vino italiano dallo status di seconda classe alle alte sfere della qualità e del prestigio. Né intendo sbandierare il mio legittimo piacere nel ricordare ai dubbiosi “ve l’avevo detto”. Il fatto è che nel corso degli anni ho sostenuto così tanti vini e vitigni italiani oggi riconosciuti ma che un tempo erano visti come gli ultimi della classe – o cause perse, cavalli perdenti, rinnegati, meno di zero, senza speranza e via dicendo – che ho perso il conto.

La rimonta di ognuno di questi vini e vitigni merita una storia a sé, ma nel ponderare la lista dei candidati, il mio impulso mi ha spinto a cominciare con il Verdicchio e Le Marche.

Leggenda narra che Alarico il Visigoto caricò i muli con barili di Verdicchio della zona di Ancona per aizzare le sue truppe mentre saccheggiavano Roma nel quinto secolo, ma testimonianze attendibili suggeriscono che il vitigno ha avuto origine nel Veneto ed è stato portato nelle Marche dai Veneziani nel quindicesimo secolo. Comunque sia, il Verdicchio è sempre stato associato principalmente, anzi quasi esclusivamente, alle Marche, dove è classificato come DOC nella zona dei Castelli di Jesi (nelle vaste colline a ovest di Ancona) e di Matelica (un’enclave più accogliente sugli Appennini).

A lungo apprezzato come vino locale, il Verdicchio ha avuto un impatto internazionale negli anni ’50 quando i produttori introdussero la bottiglia ad anfora verde ispirata agli antichi vasi greci per il vino. Quell’accattivante contenitore divenne un punto fermo nei ristoranti italiani ovunque, e anche se il Verdicchio non era sempre memorabile, quelle bottiglie erano difficili da dimenticare.

La mia iniziazione al Verdicchio avvenne negli anni ’60 nelle trattorie di pesce di Roma, dove la mia intuizione da dilettante nutriva una preferenza per il bianco vibrante e verdolino delle Marche ai nettari dorati e ambrati dei Castelli Romani. Col tempo, nei miei viaggi e nelle degustazioni, mi sono convinto che il Verdicchio aveva la qualità innata per surclassare altri bianchi italiani più popolari.

Ma il vero risveglio è avvento nel 1988 circa, quando m’imbattei in un Verdicchio di Matelica 1982 dei Fratelli Bisci. Quel vino combinava profondità e intricate sfumature nel bouquet e nel sapore con una consistenza opulenta che mi ricordava certi vantati cru della Borgogna.

L’anfora persiste, ma i principali produttori hanno da tempo messo il loro fedele Verdicchio in bottiglie autorevoli. Gradualmente il Verdicchio è cresciuto in statura e prestigio traducendosi in vini che mostrano somiglianze in aroma, peso, consistenza e longevità a certe varietà – pensate allo Chardonnay, al Riesling, al Fiano, al Pinot Bianco – spesso descritte come grandi.

Oggi non sono più un fan solitario. Ian d’Agata, per esempio, nel suo libro Native Wine Grapes of Italy, scrive del Verdicchio “possibilmente il più grande vitigno bianco italiano”.

Il più arguto dei critici di vino americani, Eric Asimov del New York Times, ha riferito su una degustazione comparativa di Verdicchio di Matelica: “Concludo dicendo che questi sono grandi vini. Ognuno di loro ha adempito straordinariamente bene al proprio compito, soddisfacendo il desiderio di freschezza, offrendo energia e consistenza coinvolgenti così come un po’ di complessità se si sceglie di cercarla”.

Tutto questo mi fa venire in mente l’azienda Sergio Marani, i cui tre tipi di Verdicchio di Matelica, comprese le selezioni Sannicola e Òppano, sono proposti da Heres. Il mio apprezzamento per i loro vini è stato espresso in articoli precedenti, quindi non ripeterò i dettagli, se non per dire che, sì, davvero, questi sono grandi vini e per giunta per tutte le tasche.

 ENGLISH

Verdicchio di Matelica: Great wines priced for every day

In my long career as a writer I’ve often found myself stubbornly advocating underdogs. The prime example came with my book Vino, published in 1980, in which the underdog was nothing less than Italian wine itself. At that time, with rare exceptions, vino italiano was not exactly admired around the world for quality. Its chief detractors were influential British critics, who, as I noted later, seemed tickled pink that an upstart Yank would dedicate an entire book to a country noted mainly for sweet Lambrusco and cheap and cheerful Chianti in fiasco.

Well, there’s hardly any need to recount the ascent of Italian wine from second-class status to the upper echelons of quality and prestige. Nor do I intend to flaunt my rightful delight in reminding doubters “I told you so.” For the fact is that over the years I’ve advocated so many Italian wines and grape varieties that are now esteemed but were once considered underdogs—or long-shots or dark horses or outsiders or sleepers or hopeless also-rans—that I’ve lost count.

Each of these comeback wines or vines merits a memoir of its own, though as I pondered the list of candidates contemplating where I might begin, my impulses kept pointing me to Verdicchio and the Marche.

Legends persist about Alaric the Visigoth loading mules with barrels of Verdicchio from the Ancona area to inspire his troops as they sacked Rome in the fifth century, but evidence suggests that the vine originated in the Veneto and was brought to the Marche by Venetians in the fifteenth century. Whatever the case, Verdicchio has always been associated primarily, indeed almost exclusively, with the Marche, where it is classified as DOC in the Castelli di Jesi zone (in the vast rolling hills west of Ancona) and Matelica (a cozier enclave in the Apennines).

Long appreciated as a local wine, Verdicchio made an international impact in the 1950s when producers introduced the green amphora bottle inspired by ancient Greek wine vases. That eye-catching container became a fixture in Italian restaurants everywhere, and even if the Verdicchio wasn’t always memorable, those bottles were hard to forget.

My initiation to Verdicchio came in the 1960s in the seafood trattorie of Rome, where my dilettante’s intuition nurtured a preference for the brisk, green-tinted white from the Marche to the golden to amber nectars of the Castelli Romani. Over time in my travels and tastings, I became convinced that Verdicchio had the innate quality to outclass other popular Italian whites.

But my eyes weren’t really opened until around 1988 when I came across a Verdicchio di Matelica 1982 from Fratelli Bisci. That wine combined depth and intricate shadings of bouquet and flavor with an opulent texture that reminded me of certain vaunted crus of Burgundy.

The amphora persists, but leading producers have long since been putting their serious Verdicchio into serious bottles. Gradually Verdicchio has grown in stature and prestige in wines that show similarities in aroma, weight, texture and longevity to certain varieties—think Chardonnay, Riesling, Fiano, Pinot Blanc—regularly described as great.

I’m no longer alone in my admiration. For example, Ian d’Agata in his book Native Wine Grapes of Italy, refers to Verdicchio as “arguably Italy’s greatest white grape variety.”

The most astute of America’s wine critics, Eric Asimov of the New York Times, reported on a comparative tasting of Verdicchio di Matelica: “I have to conclude that these are great wines. They each did their jobs extraordinarily well, fulfilling the imperative of refreshment, offering energy and intriguing texture as well as a bit of complexity if you choose to look for it.”

All of this brings to mind the Sergio Marani winery, whose three types of Verdicchio di Matelica, including the single vineyard Sannicola and Òppano, are carried by Heres. My appreciation of the wines has been expressed in previous articles, so I won’t repeat the details, except to say that, yes, indeed, these are great wines and the wonder of it is that they’re priced for every day.

Download


Contatti


  • Via Gastone Nencini, 4/6,
    52028 Terranuova Bracciolini AR
  • 055 534 1093 – Info@heres.it
  • © 2020 Heres Spa – P.IVA 01563640513