Viaggio in Borgogna – Clos to you – seconda parte

10 Febbraio 2023

AUTORE

Redazione Heres

Autunno 2022

I cerchi si chiudono quando gli opposti apparenti si incontrano. Una vendemmia all’anno, una vendemmia natural-durante. Perché non dire basta al tempo. Essere misurati è diverso dall’avere il senso della misura. L’uva che matura la ritroviamo nel bicchiere, che è  costruito apposta per contenere, esaltare, questa conoscenza. Conoscenza che riparte tutti i giorni da una beata ignoranza, composta e rilanciata dalla curiosità. Cerchi straripanti che esondano in mulinelli di personalità. Quei vortici nel bicchiere che conosciamo bene quando giochiamo al gioco dell’assaggio.

Perché non dire basta al tempo.

Forse perché diamo importanza, anzi, siamo innamorati delle ombre luminose e di ciò che conquista il nostro sguardo, come se fosse mio o tuo. Pupille di pinot nero, iridescenze chardonnay, ma poi non è la famiglia che conta, è la terra. Famiglia plurima in assenza di porte. Canali e colonne di un Ercole lillipuziano, femmina nel suo non essere fissato sul sé. La vendemmia è una tacca sul cinturone, o una figlia, una data che dovrebbe dare senso al nostro essere avanzati. Ma in realtà la raccolta non è altro che parte di un ciclo che non conosce il tempo, avendolo superato con naturalezza.

A questo punto beviamo.

Anteprima 2021. Ecco una vendemmia che assomiglia a quelle di vent’anni fa, capitata nel bel mezzo di un cataclisma climatico.

Le gelate tremende di inizio aprile marchiano subito l’annata un po’ ovunque:  bassissima produzione, addirittura zero in alcuni appezzamenti , soprattutto per i bianchi.

Dopo un’estate altalenante tra caldo, forti piogge, grandine e salvifici venti dal nord, si  torna a vendemmiare a fine settembre, poca uva e non sempre sana o matura.

In cantina si fa sfoggio di pratiche “anni novanta”, dal revival delle follature (benché di 2-3 giorni rispetto ai 20-30 di allora), all’aggiunta di zucchero ai mosti a fine fermentazione per raggiungere quel mezzo grado di alcol mancante, al  gioco delle percentuali di legno nuovo da utilizzare in fase di affinamento (con scuole di pensiero assai contrastanti).

In sintesi, i produttori hanno dovuto aguzzare esperienza e intuito; ognuno di loro ha fatto delle scelte e non c’è stata una storia uguale all’altra in questa stramba annata.

Comprare, vendere, investire o non comprare, vendere, investire?

Tranquilli, si continuerà senza dubbio a investire nei vini della Côte d’Or. Si continuerà a voler accrescere la propria conoscenza dei dettagli di ogni ansa e sorso di una terra condannata a fama eterna, una Venezia lunare dove tutti, ormai, sembrano voler atterrare.  Difficile biasimarli se non fosse per quel senso di allarme e protezione che si scatena negli amanti veterani, non sapremo dire se custodi o padri padroni, di segreti pressoché inutili. La classificazione delle vendemmie e l’andamento delle stagioni fanno notizia, sì, ma non placano la sete di acquisto da parte di un mercato dove perso un acquirente, se ne ritrovano immediatamente altri tre.

Qual è  l’augurio che un importatore e selezionatore può farsi per il rendimento del proprio operato e il futuro del vino d’autore? La risposta sta nel saper vivere ai limiti della propria vulnerabilità, tra sincerità e sacrosanta incertezza.

In inglese esiste una parola dalle remote radici latine, che significa “il calore del sole d’inverno”. Apricity. Anche a non voler essere romantici, un termine del genere apre un mondo di metafore e stati di essere.

E qui torniamo al vino, liquido nel bicchiere. e alla Borgogna. Se non siamo fossili, antichi oltre l’antico geologico, siamo vetusti nel nostro modo di bramare la continuità di un Gevrey–Chambertin o di un Saint-Aubin, ai quali ci aggrappiamo con le piccole ventose del sapere enologico.

Ogni nozione è un corridoio di passaggio, e in questi spazi compiamo la danza della notte e del giorno, Côte de Nuits, Côte de Beaune, io so, tu sai. Oppure no.

Da dentro il nostro piccolo sottomarino, dai vigneti emergiamo per condividere le bottiglie, capsule del tempo, nel tentativo di onorare i produttori con cui lavoriamo.  Questo siamo capaci di farlo, fino a quando ci saranno osti e santi bevitori, sirene, streghe e bambini animati che ci pongono domande, guardandoci con sguardi che accolgono l’altro e chi fa finta di non vederlo.

Chissà se i monaci, o le persone a cui facciamo appello sul cosiddetto trono del passato, avevano voglia di dire questo in un giorno, uguale a tanti altri nel 1021, e di ripeterlo, onda dopo onda, nel sorso di un clos o di un lieu-dit.  

 

 

Viaggio in Borgogna, che ne sarà di loro – prima parte

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