Viaggio in Borgogna, che ne sarà di loro – prima parte

1 Dicembre 2022

AUTORE

Redazione Heres

Autunno 2022

 

Non si campa di amore, ma neanche di mercato o tantomeno di soldi. Ce ne stiamo accorgendo, volando con i piedi su una terra benedetta, bistrattata, ai limiti della sopportazione. A rimetterci saremo solo noi se si continua così. Ma ci sono i figli, nostri, quelli del mondo, che cambiano le generazioni e il senso stesso di appartenenza. Una sorta di ballo in avanti e all’indietro che si può fare in libertà. Se solo credessimo nella cosiddetta libertà. Il vino dice veritas tra i sudori di chi radica e attraversa; ci dice in un sorso quanto siamo immobili in una sola cultura. Coltivati. Colti, spesso in flagrante. Raccolti e mai perfetti.

 

La Borgogna classica sta morendo, di nuovo. A partire dal cambio generazionale che nell’ultimo decennio ha visto passare il testimone ai figli in una gran parte delle aziende. Figli ancora ventenni, intendiamoci, che dovranno crescere con errori e sogni propri, infusi e parzialmente protetti dal genius loci che congiunge uomo e terra da sempre. Ma a creare una grande ombra minacciosa non ci sono solo i mali universali, c’è lo Stato con le tasse di successione:  imposte che si basano sul valore ormai esorbitante dei terreni, che certo permettono di vendere il vino a peso d’oro, ma che nel contempo non concedono a queste famiglie di mettersi, oggi, nei panni dell’acquirente. Una gabbia dorata che rischia di veder sparire la specie vigneron dal panorama viticolo, spalancando il varco ai poli del lusso e alle società di investimento, che da tempo si stanno muovendo – basti pensare all’acquisto sensazionale di Clos de Tart nel 2017.

Scenari da fantapolitica, si, quant’è vero però che questa Borgogna è avvezza da secoli a tenersi in bolla tra avvicendamenti drammatici di varia natura.

La saggezza della resistenza, o la resistenza dei saggi. Comunque sia, si va avanti.

Difficile, ma non troppo, dire quando inizia la storia del vino contemporaneo. Prendi una persona che oggi ha cinquant’anni e che beve vino da almeno trenta, e che magari lavora nel settore. Seppur non corredata di grandi nozioni, questa persona non potrà non aver notato che ogni giorno “ce n’è una.” E che durante i suoi ultimi 10.950 giorni la storia del vino ha visto accavallarsi, in rapida successione, più rinascimenti fasulli quanto autentici che in qualsiasi altro periodo. Vale a dire che il vino, oggi più che mai, è un argomento scottante: linfa per l’antico, ambiguo quanto caro, concetto della speranza.

 

Speranza e natura sovrana, questo abbiamo raccolto nello sguardo trasognante e sincero di Nicolas Rossignol (e pure Trapet). Speranza giocosa in quello di Pierre Bart, affabile e dritto come i suoi vini. Speranza materna e fiducia in qualcosa che va ben oltre il proprio ego negli occhi di Justine Clerget. Speranza e verve geniale nelle pupille di Michel Mallard, uomo cantina di Domaine D’Eugénie. Senso di comunità e speranza congiunta nel sorriso timido di Laurent Pillot, produttore nonché vice sindaco di Chassagne-Montrachet. E speranza supersonica, che va già oltre, nelle lenti da Clark Kent di Jacques Davauges, deus ex-machina di Domaine Des Lambrays.

Tutte persone che sono questa terra, frazionata e gloriosa nel suo enciclopedico essere Borgogna, Unica e vulnerabile in quanto viva, manifestazione e frutto di una mobile speranza. Fatta di un passo dopo l’altro, e comunque sia, storia.

 

To be continued…

 

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