Sergio Marani per una nuova idea di Matelica

12 Luglio 2021

AUTORE

Jacopo Cossater

Appassionato di vino prima, giornalista poi, negli anni ha sviluppato particolare interesse per le produzioni dell’Italia Centrale, per quelle del cosiddetto Nuovo Mondo e per la birra artigianale. Dal 2009 fa parte del team di Intravino, dal 2020 di quello de Linkiesta Gastronomika. Veronese, vive in Umbria, a Perugia, dove si occupa di e-commerce e di comunicazione digitale.

Da una parte il Verdicchio dei Castelli di Jesi, dall’altra quello di Matelica. Sono anni che ogni possibile conversazione o ragionamento sul mondo dei Verdicchio parte da qui, da una divisione molto netta tra 2 territori geograficamente vicini ma morfologicamente (e in parte climaticamente) piuttosto diversi tra loro.

Una narrazione che vede sempre Matelica protagonista di una storia le cui parole chiave hanno a che fare con il freddo e con alcuni suoi sinonimi, come se il clima (un po’) più continentale della denominazione da cui prende il nome fosse l’unica via possibile per un racconto più o meno organico su questo specifico Verdicchio. La diretta conseguenza è una cronaca che tende a rendere fin troppo omogeneo uno spicchio di territorio capace di regalare vini che meriterebbero forse un maggiore ventaglio di letture.

Ci avevo già pensato ma è stato assaggiando i vini di Sergio Marani che la cosa mi è apparsa davvero chiara, Verdicchio capaci di spiccare non solo per personalità ma anche per una solarità e più in generale per una tessitura che per la narrazione di cui sopra non dovrebbero appartenere a questi specifici lidi.

Ma facciamo un passo indietro. Siamo appena un paio di chilometri a sud-est di Matelica, in un punto da cui godere di una spettacolare vista su tutta la Valle dell’Esino e sui monti che la contengono. È qui che nel 1968 nasce l’azienda agricola che conosciamo oggi, realtà da subito specializzata nella viticoltura e in parte nella produzione di vino da vendere sfuso (una tradizione, quella dello sfuso, che ha attraversato i decenni e che ancora oggi caratterizza la cantina gestita da Luca e dal fratello Matteo Marani, figli di Sergio).

Protagonista indiscusso il verdicchio, la cui presenza in campo richiama un’agricoltura antica, lontana dalle densità cui siamo abituati: i vigneti più vecchi contano appena 1.600 ceppi per ettaro con molto spazio tanto tra le piante quanto tra le file, viti giocate sull’abbondanza del frutto più che sulla sua concentrazione.

Il Verdicchio di Matelica 2020 di Sergio Marani in uscita in questi giorni è giocato su un bellissimo equilibrio fra morbidezza e freschezza: da una parte un’acidità di particolare tensione, ampia e scintillante, dall’altra una rotondità data più dai frequenti bâtonnage che dalla maturazione, in questo caso di circa 5 mesi in vecchie botti di rovere. Un Verdicchio ben lontano dalla quella sola verticalità che a volte viene raccontata per definire il territorio di Matelica.

La prima annata ad andare in bottiglia è stata quella del 2015 e da subito la scelta è stata netta: per produrre Verdicchio di Matelica non sarebbero state usate le uve di un solo vigneto ma si sarebbe fatta una selezione dei grappoli provenienti da un po’ tutti gli appezzamenti.

La cantina di Sergio Marani può infatti contare su esposizioni molto diverse tra loro, condizione particolarmente fortunata nel caso di annate più difficili. Caldo e siccità sono le 2 problematiche più ostiche da affrontare, difficoltà che in annate come per esempio la 2017 sono state in parte compensate proprio da questa variabilità dei vigneti, con quelli esposti a nord che hanno permesso di trovare un buon equilibrio, in cantina.

Proprio a nord guarda l’Oppano, vigneto che dà il nome all’omonimo (e nuovo) Verdicchio di Matelica 2018.

Un bianco di grande freschezza e particolare profondità, minerale, ricco nella tessitura, capace di dimostrare -non che ce ne fosse bisogno – non solo la vocazione di un territorio ma anche la visione di una cantina i cui vini esprimono particolare personalità.

Un vino, l’Oppano, che fa da perfetto contraltare all’altra selezione targata Sergio Marani: con il 2018 è stato prodotto anche il Sannicola, Verdicchio di Matelica proveniente dal vigneto adiacente, esposto però a sud.

Un bianco che se da una parte dimostra una matrice comune al precedente dall’altra riesce a smarcarsi con una tridimensionalità di particolare avvolgenza, vino caldo e trascinante non senza quella freschezza minerale che caratterizza tutti i Verdicchio prodotti nell’omonima contrada. Due “cru” che nelle intenzioni verranno prodotti solo nelle migliori annate (non la 2019, sì la 2020), entrambi lasciati maturare in grandi e vecchie botti di rovere.

Non solo Verdiccchio però. Il Trebbiano 2020 viene prodotto a partire dalla zona più bassa del vigneto adiacente la casa/cantina, posizione non casuale: grazie al suo essere tardivo è vitigno che non subisce le gelate primaverili nelle zone più a rischio, motivo per cui ormai da decenni si trova in quella particolare posizione a dimostrare una sapienza contadina che si tramanda di generazione in generazione. Un bianco particolarmente gastronomico, sapido e solare.

Il Ciliegiolo 2020 è una sorpresa: non è così frequente imbattercisi da queste parti, da questo lato dell’Appennino. Un rosso in grado di regalare quell’immediata allegria che lo distingue e che lo rende sempre così amichevole. Un Ciliegiolo “tirato” in pochissime bottiglie, fresco e fragrante.

Vini, tutti (anche se sono ovviamente i Verdicchio i protagonisti, anche solo per una questione numerica), che fanno guardare a Matelica con occhi in parte nuovi, così capaci di essere al tempo stesso accoglienti e appuntiti, generosi e distinti. Verdicchio di Matelica che riescono nel non facile compito di riempire di sfumature i colori della denominazione.

 

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