Viaggio in Borgogna, Primavera 2021 – prima parte

24 Maggio 2021

AUTORE

Redazione Heres

Viaggio in Borgogna, Primavera 2021 – prima parte

 

Domenica 9 maggio 2021

Da Frejus a Beaune si viaggia con lo scirocco in poppa che porta caldo e umidità. Arriviamo nel tardo pomeriggio, due ore prima del coprifuoco che è alle 19. Beaune è semideserta e chiusa, ad eccezione dei kebab (che non vendono vino) e Atheneum, la libreria mecca per i vino-viaggiatori con salvifico angolo enoteca. Peschiamo l’ultima bottiglia di Chablis 1er cru Fourchaume 2018 di JC Bessin e andiamo a reminelarizzarci nel giardino di Patricia e Jean, idilliaco B&B a pochi passi dalla stazione. Ogni tanto passa un treno fantasma oltre il muro e una tamerice in fiore. Il buio sembra non voler discendere tra un petit morceau de pain de pays et fromage, ma poi arriva leggero e profumato con qualche goccia di pioggia e una ciotola di fragole.

Lunedì 10 maggio 2021

Tempo di una notte e ci svegliamo sotto una fitta pioggia grigia. I tropici hanno ceduto il passo a quelli che saranno due giorni di una primavera autunnale glorificate da mistici ritiri in cantina.

Route nationale verso nord, sulla sinistra del finestrino scorrono sotto perle d’acqua vigneti, muretti e cartelli come sottotitoli del film muto più amato: Nuits-Saint-Georges, Vosne Romanée, Vougeot, Chambolle-Musigny, Morey-Saint-Denis, Gevrey-Chambertin, Fixin e finalmente Marsannay-la-Côte dove si trova la cantina della famiglia Bart. L’albero al centro del cortile fa da ombrello mentre ci salutiamo con Pierre, nipote di Martin e figlio di Odille che vediamo passare timidi e indaffarati. Scendiamo nella cantina per assaggiare la vendemmia 2019, questa volta dalla bottiglia perché è troppo presto per affrontare la 2020 nei legni. Pierre contempla con noi il primo assaggio del delizioso Marsannay Rouge e comincia a raccontarci delle vendemmie, perché è impossibile parlare di una sola, tante sono le anomalie degli ultimi anni tra sbalzi climatici, perdite di raccolto e questa ennesima strana primavera. “La pioggia di oggi serviva, ma dopo deve arrivare il sole per permettere il compimento della fioritura. Non sappiamo ancora l’entità della perdita dovuta al gelo di inizio aprile, per i rossi la stima è tra il 15%-20% fino al 40% nel peggiore casi, mentre per i bianchi è suppergiù totale.” A Marsannay in fin dei conti non è andata male, questo ce lo diciamo mentre susseguono gli assaggi dei Marsannay dalle parcelle di “Les Echezots” e “Les Grandes Vignes”,  del Fixin 1er Cru Les Hervelets (sempre una delle sorprese più belle) e del Bonne Mares Grand Cru, ancora adagiato sul suo trono, fiero e roboante. Ci incontreremo il prossimo inverno sussurriamo al bicchiere e con Martin ci ripromettiamo di vederci a dicembre per la degustazione dei 2020.

Giriamo la bussola verso sud passando dalle vigne e la parte alta di Fixin. Costeggiamo il muretto a zig-zag di Les Hervelets dove ritornano le note floreali e muschiate del vino appena assaggiato da Bart. Passato il paese di Brochon, figlio ripudiato dalle classificazioni della Côte de Nuits, appare sulla destra la Combe au Moine e subito dopo quella sorta di tappeto volante dei vigneti della Côte Saint Jacques, la parte alta dei “quasi” grands crus di Gevrey-Chambertin. Un inchino e dirottiamo verso il centro, attraversando la route nationale per andare da Rossignol-Trapet. Ci accolgono Nicolas e la figlia Marion, felici come sempre di ricevere in regalo una bottiglia di olio EVO di Petrolo.

In Borgogna aleggia un’anima secolare e plurima che racchiude monaci, pastori, studiosi rivoluzionari, paladini fedeli alla terra che si personifica nei produttori. Le loro storie sono spesso arricchite da saghe familiari, incursioni (poche) straniere e l’occasionale passaggio del campanile come nel caso di Nicolas e David Rossignol-Trapet, cognome che rivela l’unione avvenuta negli anni ’60 del secolo scorso tra il padre di Volnay e la madre di Gevrey. All’inizio degli anni ’90 la famiglia dei Trapet si divide con conseguente ripartizione delle vigne di Gevrey-Chambertin tra il domaine Luis Trapet e la costola costituitasi sotto il nome di Rossignol-Trapet. Altri trent’anni per arrivare al presente, un percorso che ha visto l’azienda convertirsi alla biodinamica nel 2005 e l’acquisizione di altri terreni nei comuni di Beaune e Savigny-lès-Beaune, un pezzo di cuore dalla parte dei Rossignol.

La parabola ascensionale in termini qualitativi dalla conversione alla biodinamica a oggi è impressionante. La purezza lirica dei vini, raggiunta con profonda reverenza verso il territorio e inscalfibile benché mansueta determinazione, si manifesta su tutta la gamma, senza mai perdere le sfumature della vendemmia. Negli occhi dolci di Nicolas si legge l’apertura di chi è nato nella Côte de Beaune, uno sguardo che sembra trasmettersi anche nei magnifici cru di Gevrey-Chambertin e come un eco riportare nel Savigny-lès-Beaune e nei Beaune village e premier cru un velo di Gevrey.

La pioggia s’infittisce facendo brillare i vigneti feriti dalle recenti gelate e apparentemente inermi senza le boe di piume verde primavera. Questo ritardo vegetativo non preoccupa troppo, il sole tornerà e probabilmente farà riflettere su quanto piccoli siamo di fronte alla sua aggressione (o mancanza di filtri). Sfiliamo attraverso la parata dei Grand Cru di Gevrey-Chambertin seguendo il filo del bosco che si innalza sopra Morey Saint Denis fino a risucchiarci verso le altevie delle Hautes Côtes de Nuits passando dal centro di Chambolle-Musigny. Un rito di iniziazione inverso e liberatorio, dove desideri inestimabili si trasformano in respiro, nomi leggendari in campi di grano, mura invalicabili in un paesaggio bucolico a portata di mano.

Le genti delle alte coste, suddivise in Hautes Côtee de Nuits e Hauntes Côtes de Beaune, si stanno divertendo a tirare fuori lo spirito fanciullesco e a tratti irriverente della Borgogna viticola. La passeggiata di frontiera ci riporta verso lo scivolo della Combe de la Serrée fino al centro di Nuits-Saint-Geroges attraversando teatrali cave di estrazione di pietra che sguanciano l’idillio, ricordandoci che l’economia della regione non è solamente “d’or”.

 

To be continued…

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